martedì 16 settembre 2008

Cap.8 La flagellazione di Cristo

Silvia Ronchey, docente di Civiltà bizantina all'Università di Siena, nel suo libro "l'enigma di Piero" sostiene che per interpretare correttamente questo quadro dobbiamo partire dalle "pappucce rosse" calzate da Ponzio Pilato. Questo particolare riporterebbe il quadro di Piero della Francesca nel giusto contesto, cioè: non alla vera flagellazione di Cristo e nemmeno alla supposizione che il quadro rappresenti la congiura contro Oddantonio II, ma a quella che tutti nel XV secolo sapevano essere la metafora della flagellazione di Costantinopoli sotto l'assedio Turco da parte di Murad II.

Interpretazione di Silvia Ronchey

articolo tratto da Wikipedia.org rif: http://it.wikipedia.org/wiki/Flagellazione_di_Cristo_(Piero_della_Francesca)

Per Silvia Ronchey e altri studiosi la tavola raffigurerebbe il messaggio politico di Giovanni Bessarione, il delegato bizantino che aprì il Concilio di Ferrara e Firenze del 1438 - 1439, per la riunificazione delle chiese orientali e occidentali. Il Cristo flagellato rappresenterebbe tanto la lontana Costantinopoli, che allora era assediata dagli ottomani, quanto in senso più ampio la cristianità intera.

A sinistra, la figura con turbante che assiste alla scena, sarebbe il sultano turco, ossia Murad II, mentre in Ponzio Pilato si dovrebbe identificare l'Imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo seduto, con calzature color porpora, che solo gli Imperatori bizantini potevano portare in tutto l'Impero bizantino, era come un loro simbolo Imperiale, che proveniva dalla sfarzosità della porpora, colore molto costoso nell'antichità. Le tre figure sulla destra rappresenterebbero da sinistra, Bessarione, il fratello dell'Imperatore bizantino, Tommaso Paleologo (scalzo perché ancora non imperatore e quindi non poteva indossare i calzari di porpora dei Basileus) e Niccolò III d'Este, padrone di casa del concilio. Quando Piero della Francesca dipinse la tavola erano passati 20 anni dai fatti del concilio e Costantinopoli era stata presa dagli ottomani, nel 1453. Papa Pio II Piccolomini su suggerimento del Bessarione allora aveva promosso una crociata, al cui appello però risposero ben pochi. Ecco, la tavola di Piero della Francesca ritrarrebbe esattamente il momento di discussione di questo secondo intervento, storicamente avvenuto in occasione di una riunione chiamata Concilio di Mantova (ecco un possibile senso per la frase convenerunt in unum). Oltre al messaggio religioso egli rappresenta un tema politico attuale nell'ambiente romano dove la tavola venne probabilmente dipinta, come una specie di manifesto del ricongiungimento fra Roma e Costantinopoli, collegandosi ad altre opere, prime fra tutte la Cappella dei Magi di Palazzo Medici Riccardi a Firenze.

Calzature color porpora, che distinguevano gli Imperatori bizantini dagli occidentali. Questo è un particolare che ritroviamo anche nei tarocchi "Visonti Sforza" attribuiti a Bonifacio Bembo, lo stesso pittore che lavorava nella bottega Cremonese dei Bembo a cui gli sforza avevano commissionato tramite Trecchi le carte da Trionfo. In un mazzo che si pensa antecedente a questo, pertanto eseguito prima del concilio che portò i Bizantini in Italia, la carta dell' imperatore è molto diversa. Questo imperatore viene identificato in Sigismondo del lussemburgo che morì il 9 dicembre 1437 poco prima del concilio Ferrara Firenze. Osservando la carta si noterà che come l'altro imperatore porta un copricapo con lo stemma dell'aquila imperiale ha nelle mani gli stessi oggetti simbolo del potere temporale, ma non ha calzature porpora, di fatti
Sigismondo del Lussemburgo era l' imperatore d'occidente.

In questo sito si potrà constatare che tutti gli imperatori bizantini sono raffigurati con delle "pappucce rosse" e
per un ulteriore raffronto mostro anche l'Imperatore di un altro mazzo soprannominato BBV Brera-Brambilla Visconti. Anche in questo la calzatura che si vede non è di color porpora.

martedì 2 settembre 2008

Cap.7 A caccia di "Indizi"

Quando un indizio è solo un indizio?
Per
Jessica Fletcher, protagonista della serie televisiva "La signora in giallo" sembra esistere questa regola:

un indizio è solo un indizio... due indizi sono una strana coincidenza... ma tre indizi sono più che sufficienti per metterci sulle tracce di un colpevole.


Ripartiamo dal dipinto di Benozzo Gozzoli visto nel precedente post, spostiamo l'attenzione in basso a sinistra, solo a una paio di teste dal barbuto volto di Giorgio Gemisto Pletone.
Nella direzione in cui sia Gemisto che molti dei personaggi sembrano rivolgere lo sguardo, spicca la figura di un giovane nobile identificato in Sigismondo Malatesta.
Lo stesso Sigismondo Malatesta che viene nominato in uno dei documenti ufficiali affiorati nella storia dei Tarocchi...
Nel 1451 Bianca Maria Visconti scriveva al marito Francesco Sforza di inviare a Sigismondo Malatesta un mazzo di “quelle carte di trionfi che se ne fanno a Cremona”. Tra il 1450 e il 1452 al tesoriere ducale di Cremona Antonio Trecchi gli Sforza commissionarono “carte da triumpho per zugare, de belle quanto più sarà possibile et ornate con le armi ducali et le insegne nostre”.

Ricostruire una storia a così tanta distanza di tempo, con pochissima documentazione a disposizione diventa un'impresa davvero ardua.
Da parte mia ho un'idea, scaturita dal presupposto che
"lo schema" deve averlo ispirato una persona dotata di intelligenza e conoscenze fuori dal comune e dalla lettura di svariati libri riguardanti la storia medioevale, sono arrivato a sospettare che questa persona potesse essere Giorgio Gemisto.

Primo: perché dalle cronache riportate viene descritto come il più grande dei Filosofi di quel tempo, tanto da ispirare Cosimo de Medici a fondare un'università in suo onore; addirittura considerato alla pari di Platone dal quale appunto prende lo pseudonimo Pletone.
Più studiosi gli attribuiscono, proprio per il fatto che fu di grande ispirazione a molti umanisti rinascimentali, il merito di essere il precursore del Rinascimento Italiano.


Secondo:
perché corrisponde il luogo ed il tempo in cui comparve il primo mazzo di Trionfi con le caratteristiche che sono arrivate fino ai nostri giorni.
Pletone
arrivò in Italia e più precisamente a Ferrara nel 1438, gli studiosi collocano la composizione definitiva dei tarocchi con le 22 carte che corrispondono alle attuali Marsigliesi fra il 1441 - 51 ad opera di pittori del nord Italia, (il mazzo Visconti-Sforza attribuito a Bonifacio Bembo) esattamente dopo il passaggio di Gemisto in Italia. (coincidenza?)
Altra coincidenza: sembra che Pletone non ritornò a Costantinopoli con la delegazione Bizantina nel 1439, quando si concluse il concilio, ma rimase in Italia probabilmente ospite di Sigismondo Malatesta per altri due anni. Voglio far notare che questo potrebbe essere più che plausibile, Malatesta era imparentato con i Paleologo, imperatori di Bisanzio, tramite la cugina Cleopa, che fu a Mistra allieva dello stesso Gemisto. Sembra che lo stesso Sigismondo divenne un devoto discepolo di Gemisto e la prova più lampante è la riedificazione della chiesa di San Francesco a Rimini, che dal papa Pio II fu definita Tempio Pagano e scomunicata. Altra cosa a conferma di ciò, Sigismondo prima di morire intraprese una crociata in Morea con l'intento di riportare i resti di Pletone, per poi deporli in un sarcofago centrale all'esterno dello stesso Tempio. (non poche come coincidenze)
Terzo: perché leggendo le poche cose rimaste del pensiero di Gemisto (il discorso sulle differenze fra Platone ed Aristotele, e soprattuto il Trattato delle virtù) le trovo molto attinenti allo schema. Per ultimo, banalmente, perché non ho trovato altri candidati che nell'epoca e nei luoghi designati potessero calzare meglio questo ruolo.
Ciò nonostante rimango aperto alla possibilità di sbagliarmi, anche se, più continuo la ricerca e più emergano indizi puntuali e precisi a conferma della giusta direzione.
Quella che inizialmente sembrava una fantasia, sorretta da un'impalcatura un po' vacillante, è diventata incredibilmente stabile nel confronto con la scoperta di Silvia Ronchey. L'enigma di Piero libro pubblicato nel 2006 per le edizioni Bur è una impeccabile ricerca storica, scaturita dall'interpretazione di un enigmatico quadro di Piero della Francesca. La Ronchey, nel suo libro ricostruisce completamente lo scenario che fa da cornice anche alla storia dei Tarocchi. Più precisamente, in quel quadro la Dott.ssa Ronchey vede un progetto politico atto a salvare quel che rimane del grande Impero Bizantino caduto sotto i turchi il 29 maggio 1453 (collegamento audio).
Nei Tarocchi, oltre che, vedere la costruzione di un percorso di conoscenza del se; oggi la New Age lo definirebbe percorso per l' illuminazione; si può riscontrare lo stesso progetto descritto dalla Ronchey, dove nell'ultima carta "il mondo" vi è rappresentato un mondo ideale, come avrebbe detto Gemisto, fondato sulla verità e non più sulla dogmatica appartenenza a un credo.

lunedì 25 agosto 2008

Cap.6 Cercavo un uomo ed ho trovato un esercito, lo cercavo in una città e l'ho trovato in un impero

Vi siete mai chiesti che cosa fa cambiare il mondo degli uomini, le nostre storie e le nostre vite?
Non sono i soldi, non è il potere, non sono le armi e nemmeno l'amore; sono le idee. Mosè, Zoroastro, Gesù, Maometto, Buddha; non il loro potere ma le loro idee hanno fatto cambiare il mondo. le idee possono far cambiare la Storia "in meglio o in peggio".
Le idee possono essere consce o inconsce, spontanee o indotte. Quando un'idea è "coscientemente indotta" da parte di altre persone viene definita "credo". Religione, sta per "religere", relegare, confinare... in un dogma. Dogma letteralmente significa "credo che".
La storia della "Torre di Babele" metaforicamente è assolutamente vera, ad un certo punto l'uomo ha dimenticato il "Vero nome" delle cose, ha perso la capacità di riconoscere il "vero significato delle parole".
Quando è che "Fede"... (La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono. Ebrei 11,1) una parola che dovrebbe aprire le porte a quello che è oltre, è diventata invece la gabbia in cui si rinchiudono i fedeli?
Per fede ci si esalta o si soffre, per fede si uccide, per fede si muore; la fede Relegata porta a scontrarsi con altre fedi, anch'esse relegate.
Non è questa la funzione della fede.
Archetipo: lo studio degli archetipi è lo studio dell'origine di una funzione, di un modello, la forma preesistente e primitiva di un pensiero. Chi ispirò lo schema nei Tarocchi conosceva questo, e vedeva nelle "credenze" lo smarrirsi della ricerca, non solo quella religiosa ma anche la credenza atea o scientifica si era dimenticata l'idea originale, così che perso il vero concetto di "Fede" si rinchiusero in se stesse.
Quando analizzeremo nei dettagli lo schema ritroveremo questo pensiero, ed è da questo pensiero, che preso come indizio, ho tracciato la ricerca del nostro "uomo non comune". Un uomo veramente ispirato, che tramite la sua conoscenza aveva l'aspirazione di risvegliare nelle coscenze l'idea di un mondo migliore, un mondo in cui, superata ogni stupidità delle credenze si potesse unificare sotto la bandiera della verità.


Da “Occidente Segreto” di Jay Kinney.
Per farci un'idea della forma mentis di chi ha creato gli Aracani maggiori possiamo rivolgerci a opere come Filosofia della magia naturale (nota anche come De occulta philosophia) di Cornelio Agrippa, composta nel 1530. Vale la pena riportare a questo proposito il commento di Tim O'Neill: «[I maghi del Rinascimento] non solo parlavano letteralmente una lingua diversa, ma avevano una visione del mondo affatto diversa da quella di oggi».
ed aggiunge:
Da uomo del Rinascimento, Agrippa descrive la sua opera come una «dottrina dell'antichità, che nessuno, oserei dire, ha fin qui tentato di ricostruire». Sono convinto che gli Arcani maggiori o grandi Trionfi facciano parte dello stesso scenario, nel modo meno consapevole tipico di un secolo anteriore. Nella seconda metà del Trecento qualcuno, a Ferrara o altrove, stava cercando di rappresentare il mondo in un mazzo di carte un mondo fatto di linguaggio, di simboli, di frammenti di cristianesimo, neoplatonismo e credenze popolari. Probabilmente questo "qualcuno" era un laico o magari un chierico di mondo, capace di leggere l'universo in chiave filosofica e letteraria, consapevole dell'allegoria, non empio ma neanche ortodosso alla maniera medievale.
In qualche modo - e questo è un altro autentico mistero - i grandi Trionfi si mescolarono con gli Arcani minori, sfociando in Europa in una divisione quadruplice (anche se alcuni mazzi non europei hanno cinque semi, per esempio). Questa divisione quadruplice rifletteva l'antichissima divisione indoeuropea della società in sacerdoti, guerrieri aristocratici e contadini/pastori, a cui si aggiungeva la nuova classe dei mercanti. Nel linguaggio dei Tarocchi moderni, spade (aristocratici), coppe (sacerdoti), bastoni (agricoltori) e denari (mercanti).
Certamente gli Arcani maggiori costituiscono il cuore dei Tarocchi, e credo che un loro esame più approfondito all'interno del contesto dell'ermetismo tardomedievale o rinascimentale sarebbe illuminante. Non serve andare a cercare stanze immaginarie sotto la sfinge di Gaza: ci sono già abbastanza misteri sotto i nostri occhi. (tratto da “occidente segreto pag.120-121)
il 4 marzo del 1438 fece il suo ingrasso dalla porta di San Biagio a Ferrara l'imperatore Bizantino Giovanni VIII Paleologo, al suo seguito c'era una folta schiera di eruditi (quasi 700).
La convocazione a Ferrara si doveva al tentativo di riconciliazione fra la chiesa d'occidente con quella d'oriente, o meglio la chiesa di Roma con la chiesa Bizantina di Costantinopoli. Il concilio, terminò l'anno seguente a Firenze (dove si era spostato a causa di un'epidemia di peste scoppiata a Ferrara), con un nulla di fatto o perlomeno scarsissimi risultate, tanto che gli storici lo ricordano solo a grandi linee per l'esigua importanza avuta nella storia della chiesa. Tutt'altro parere invece ci viene fornito da un' ambito storico più particolare, quello della magia.

In un libro sulla storia della Magia "L'elisir e la Pietra" di Michael Baigent e Richard Leigh leggiamo:
Ma se il concilio di Firenze fece ben poco per l'unità dei cristiani, ebbe enormi conseguenze d'altro genere. Per sostenere la causa della Chiesa ortodossa, l'imperatore si era fatto accompagnare da più di 650 eruditi ed ecclesiastici, i quali, prevedendo di dover fare numerose citazioni da testi importanti, avevano portato con sé un gran numero di manoscritti originali in lingua greca. Non si trattava solo di testi biblici o cristiani e alcuni erano per giunta ancora sconosciuti in Occidente. Fra questi i più interessanti erano probabilmente le opere di Platone, del quale gli eruditi occidentali conoscevano principalmente il "Timeo".
Uno degli eruditi più eminenti al seguito dell'imperatore bizantino era Giorgio Gemisto il quale, durante il concilio, adottò lo pseudonimo di "Pletone"(vedi anche: saz. Per approfondire "I misteri di Pletone"). In passato si era distinto nell'insegnamento filosofico a Mistra, la terza città dell'impero, situata nel Peloponneso vicino al luogo in cui sorgeva l'antica Sparta. A parte il nome, Pletone era un filosofo "pagano", professava il sincretismo e in particolare il neoplatonismo, diffusosi ad Alessandria all'alba dell'era cristiana, e avversava il cristianesimo. Disconosceva Aristotele, icona filosofica per tanti teologi cristiani, e sognava di ridare vitalità e dinamismo alla tradizione pagana e all'antica Accademia Ateniese.
La legge bizantina prevedeva la pena di morte per quei cristiani che fossero tornati al pensiero o alla pratica pagana. Di conseguenza, Pletone fu obbligato a tenere per sé le proprie convinzioni e a confidarle solo a un gruppo limitato di iniziati fra i suoi pupilli di Mistra. Pletone sosteneva il primato dell'insegnamento orale, ricordando che sia Pitagora sia Platone preferivano la parola detta a quella scritta. Il concilio di Firenze rappresentò per lui una tribuna eccezionale e la sua permanenza nella città era destinata a provocare qualcosa di paragonabile a una reazione chimica, che avrebbe trasformato radicalmente, grazie a una reciproca influenza, sia l'uomo sia il luogo.
Negli anni precedenti il concilio, Firenze era diventata un centro di studi fra i più diversi. La cultura secolare aveva trovato un ambiente in cui svilupparsi, libera da coercizioni ecclesiastiche e affrancata dai sensi di colpa istillati dalla dottrina della Chiesa. Alla dignità e all'importanza dell'uomo veniva dato un rilievo fino ad allora impensabile, e l'espressione "studia humanitatis" era divenuta ormai ricorrente. Firenze era diventata la culla, del pensiero e della tradizione umanistica.
Parallelamente alla fioritura dell'umanesimo, si sviluppò una reazione contro Aristotele. I semi erano stati piantati un secolo prima, quando Petrarca aveva studiato la lingua greca e magnificato Platone. Benché poco si conoscesse della sua opera, almeno da parte del pubblico secolare, Platone fu subito accolto con entusiasmo dai pupilli e dai discepoli di Petrarca. All'epoca del concilio di Firenze, la filosofia platonica, nonostante i pochi testi disponibili, era ormai radicata in città come lo era l'umanesimo.
Si può immaginare con quale soddisfazione Pletone, costretto fino ad allora a tenere segreti i suoi interessi, si immerse in questo ambiente rigenerante, privo di censure e restrizioni. Si beò della sua nuova libertà intellettuale e non essendo obbligato a partecipare a tutte le sessioni del concilio poté frequentare a suo piacimento gli umanisti fiorentini.
Al termine del suo soggiorno in città, Pletone aveva abbandonato ogni finzione nei riguardi della fede cristiana e, almeno in una cerchia riservata, aveva espresso le sue reali convinzioni. Ripudiata la dottrina cristiana, Pletone abbracciò esplicitamente le dottrine che si rifacevano alle antiche scuole misteriche. Profetizzò che, entro pochi anni, tali dottrine si sarebbero diffuse in tutto il mondo, avrebbero soppiantato tutte le altre fedi e promosso l'unità del genere umano. Dichiarò, di conseguenza, che "Maometto e Cristo saranno dimenticati e la verità vera splenderà su tutte le terre del mondo" [Woodhouse, George Gemistos Plethon, pag. 168]. La forza dirompente di questa affermazione è impressionante, in quanto Pletone non si limita a dire che il cristianesimo e l'Islam rappresentano due varianti di una verità assoluta; al contrario, egli afferma che sono falsificazioni della verità, e che la loro distruzione è condizione necessaria perché la verità rinasca.

Dopo questa lunga ma necessaria citazione, chiamo sul banco dei testimoni un agguerrito avversario di Pletone e testimone dei fatti; Giorgio Gennadio Scholarios.
Signor Scholarios ci dica cosa pensa del qui imputato Giorgio Gemisto detto "Pletone"?
Scholarios: "Costui…fu così preso dalle opinioni elleniche, che si curò ben poco di comprendere il cristianesimo dei padri al di là di quelle esteriorità note a tutti. E non fece come tutti i cristiani che studiano i libri ellenici per la lingua; lesse e imparò prima i poeti e poi i filosofi per seguirli. E il motivo fu questo, come apprendemmo con precisione da molti che durante la gioventù lo conoscevano bene. Avendo queste inclinazioni, è naturale che per l’abbandono della grazia divina i demoni a cui si era dato lo rendessero continuamente propenso all’errore, cosa che del resto capitò a Giuliano e a molti altri apostati. Ma giunse poi al vertice dell’apostasia attraverso un ebreo, al quale si era rivolto per le sue conoscenze delle opere di Aristotele. Era un seguace di Averroè e degli altri commentatori persiani e arabi dei libri aristotelici che i giudei avevano tradotto nella loro lingua…Si chiamava Elisseo e fu lui che lo rese quello che è."
Ascoltiamo anche Giorgio Trapezunzio di Trebisonda, contraltare nella delegazione cattolica di Gennadio Scholarios, ci informa:
" L’ho udito io stesso a Firenze – era lì per il concilio con i greci – mentre asseriva che tutto il mondo tra pochi anni avrebbe accolto una sola medesima religione con un solo animo, una sola mente e una sola predicazione e avendogli chiesto "cristiana o maomettana?", rispose "nessuna delle due, ma non differente da quella dei pagani". Sdegnato per queste parole l’ho sempre odiato e l’ho considerato una serpe velenosa, né l’ho più potuto vedere e ascoltare…L’ho visto io in persona, eh se l’ho visto levare preghiere e inni al sole, nelle quali, come creatore del tutto, lo esalta e lo adora con tanta eleganza di termini, dolcezza di composizione, sonorità di ritmo…d’altra parte dava al sole onori divini con parole talmente caute che anche i più dotti non se ne sarebbero potuti accorgere se non dopo attente e frequenti osservazioni."

Dunque, non solo un personaggio dotto e ispirato, ma anche cauto e prevenuto; già il suo caro maestro Elisseo fu vittima di persecuzione e bruciato vivo sul rogo. Pletone arrivò in Italia in un clima di fervente rinnovamento culturale e vi trovò un ambiente molto recettivo. A Ferrara, esisteva già un' Accademia, guidata da Guarino Veronese, che inizialmente aveva stodiato con Emanuele Crisolora e che aveva approfondito i suoi studi in Grecia fra il 1403 e il 1408, presso lo stesso Pletone. Questo ambiente protetto permise a Pletone di lasciarsi andare a qualche sfogo, colpendo con parole pungenti le varie dottrine e anche se i veri insegnamenti li rivelò solo a una cerchia ristretta di seguaci, ciò che disse pubblicamente lascia ben intravedere idee molto chiare sulla volontà di oltrepassare quei dogmi che impedivano la realizzazione di un "Mondo ideale".

Ecco il motivo che porta a vedere in lui l'imputato più probabile, motivato e capace a celare in un mazzo di figure usuali un insegnamento così eretico.

giovedì 21 agosto 2008

Cap.5 Identikit.

La conoscenza storica ha inizio solo quando entrano in gioco dei "testimoni" (i documenti che il passato mette a disposizione dello storico) ed un "esaminatore" che li sappia opportunamente interrogare. Senza le domande appropriate i testimoni rimarrebbero muti, senza testimoni i quesiti rimarrebbero irrisolti. (1)
Un testimone può essere preciso, inesatto, accurato, approssimativo, veritiero, bugiardo, fallace, fazioso, imparziale, obiettivo ..., la sua testimonianza può essere intenzionale, casuale, involontaria, accidentale, artefatta , mirata, progettata ... i modi e i mezzi della trasmissione del "documento" possono essere svariati e diversi, come indefinitamente vari e differenti sono i canali e i supporti del comunicare. Comunque sia, la principale preoccupazione di uno storico è quella di far parlare i propri testimoni al fine di comprendere ciò che essi dicono. In buona sostanza, senza "documenti" non è possibile alcuna conoscenza storica.
(1)
Fin dalle origini della lingua greca, nel dialetto omerico, il termine istor (histor) sta per "testimone", ossia "colui che vede" e di conseguenza "colui che sa in quanto è informato". La parola "storia" deriva, dunque, dalla radice indoeuropea vid, che in greco è id e in latino video, ed indica come il primo approccio con l'empirico passi attraverso l'osservazione e la descrizione di quel che si vede. Solo successivamente, allorché il dato d'esperienza è fissato nella memoria, diviene possibile riportare un qualcosa che altri (il testimone) ha riferito di aver visto. Il verbo ionico istoreo sta, in definitiva, per "investigo", "esploro", "osservo", "indago", "ricerco" il come stanno le cose al fine di esserne informato e istoria (historia) significa la descrizione dell'osservabile e, quindi, la sua trasmissione attraverso i canali della memoria collettiva.
così scrive Paolo Aldo Rossi in un articolo a pag. 55 del già citato libro "Tarocchi Arte e Magia" e che potete leggere qui.
Chi è il personaggio in questo ritratto?
Oltre ai testimoni, aggiungo che dobbiamo avere almeno un'idea di chi stiamo cercando.
In tutte le letture riguardante i Tarocchi; storiche o esoteriche, la conclusione è sempre la stessa: non sapremo mai chi li ha inventati.

Da parte mia, non sono mai stato particolarmente
attratto dai Tarocchi, anche se, frequentando ambienti esoterici e personaggi veramente appassionati, storie a riguardo ne ho sentite molte, tutte diverse fra loro, ma niente che convincesse o arrivasse a stuzzicare la mia curiosità. In tutte quelle storie nessuno mi sapeva fornire un'esposizione chiara, precisa e soprattutto completa su queste 22 carte.
Quando vidi per la prima volta lo schema, le cose cambiarono. I Tarocchi entravano in una logica di pensiero. Questo fece scaturire in me l'idea di poter tracciare un' identikit del loro autore.
Tramite la documentazione storica si è potuto relegare in un tempo ed in uno spazio la comparsa dei Tarocchi, ma solo tramite la giusta interpretazione di queste figure possiamo tracciare i lineamenti o meglio la "linea-mentis" del loro creatore.
I Tarocchi senza lo schema sono un insieme di figure che potrebbero semplicemente rappresentare le idee e la morale del tempo; ad esempio anche se di poco posteriore alla comparsa dei tarocchi, ne il poema "La nave dei folli" 1494 (clicca qui per vedere tutte le immagini o qui), possiamo riconoscere molte di queste figure nelle vignette moralizzatrici di Sebastian Brant rappresentate da una serie di xilografie delle quali alcune sono attribuite al giovane Dürer. Anche se non conosco (per ora) libri simili antecedenti la comparsa dei Tarocchi e so che Dürer fu ispirato da questi; ritengo presumibile che l'iconografia di per se, fosse assolutamente "normale", altrimenti non sarebbe stata usata per fare la morale alla gente ma piuttosto tacciata come blasfema. Matto, bagatto, imperatori e papi piuttosto che diavoli e angeli e la stessa ruota della fortuna erano parte di quelle vite e di quelle idee che nel XV secolo si diceva pensiero comune. Non sono le figure contenute nei Tarocchi a renderli speciali; solo nello schema potremmo rintracciare ciò che rappresentava una vera e propria "eresia" per quel tempo.
L'idea che mi sono fatto del fantomatico personaggio che concepì lo schema è di un eretico; quello che oggi più semplicemente chiameremo "libero pensatore", visto che eresia non significa altro che "scelta", e l'eretico di conseguenza non è altro che "colui che sa scegliere". Di proposito non ho usato il "può scegliere", perché difatti nel XV secolo al minimo accenno di idee diverse al Dogma si veniva condotti direttamente al rogo. Forse sta proprio qui "il movente" del nostro delitto. La genialità di celare in un insieme di figure assolutamente normali, in un'epoca di accanite censure, un'idea ed un insegnamento che sarebbe stato definito eresia.
Eretico dunque, ma non comune. Un'eretico che alla domanda: ma allora in cosa credi?
Avrebbe risposto:
la domanda che piuttosto mi dovresti porre è come nasce una credenza?
Da qui la considerazione che questo personaggio vissuto nel Nord Italia, nella prima metà del XV secolo con una personalità e una conoscenza fuori dal comune non potesse passare inosservato.
Questa è la copertina di un libro in cui ci sono le xilografie e sottostante le morali di Brant.

Ad esempio per l'immagine della Ruota della Fortuna vista sopra,
Brant ci dice:
"onori e successi umani son tutti fragili e caduchi. Nessuna cosa è stabile sulla ruota fatale del tempo e della fortuna: la gloria mondana tramonta, cadono e cadranno i regni. A ogni cosa terrena pon fine la morte."

Brant è dunque un testimone dell'epoca che ci racconta cosa rappresentavano nel XV secolo immagini molto simili ai Tarocchi. Probabilmente non è mai stato preso in considerazione per un'analisi figurata dei Tarocchi perchè tutto sarebbe diventato troppo banale rispetto al mito che si era creato, ma dal moto "niente viena a caso" forse proprio perchè non è caduto questo mito alla fine ho scoperto lo schema.

mercoledì 16 luglio 2008

Cap.4 Riflessioni su ciò che è "Storia"

Seconda parte

Eravamo rimasti alla comparsa delle carte da gioco in occidente nel XIV secolo. Per ora mi limiterò a proseguire la discussione su ciò che è documentato.

Due cose sono certe, la prima che le carte entrate in Europa erano solo carte numerali, cioè carte composte da quattro semi (spade, bastoni, coppe e denari) numerate da 1 a 9 o 10, prive di figure umane.
Questa ad esempio è la carta che corrisponde al re di denari.
Nella cultura mussulmana sono assolutamente proibite le raffigurazioni umane.

La seconda, molto importante è che da subito il gioco delle carte si diffuse a macchia d’olio e in poco tempo divenne così popolare da indurre le autorità a prendere provvedimenti.

vedi anche questa intervista a Dummett, uno dei massimi studiosi di Tarocchi.



LA DIFFUSIONE DEI TAROCCHI TRA I SECC. XV-XIX

di Giordano Berti e Pietro Marsilli

Origine del gioco del Tarocco
Il gioco del tarocco rappresenta uno dei capitoli più affascinanti della storia del costume in Europa. Il problema delle sue origini, del significato delle figure e delle utilizzazioni di cui è stato oggetto nel corso dei secoli ha sempre stimolato la curiosità di storici dell'arte,etnografi, letterati, esoteristi. Ma per quanti libri siano stati scritti sull'argomento, ancor oggi, a quasi cinque secoli dalla sua prima apparizione storicamente documentata, questo gioco rappresenta un mistero insoluto.
Le ricerche sulla letteratura del Medioevo sino alla fine del sec. XIV non hanno messo in luce alcun testo dove sia menzionato il tarocco. I trovatori, i romanzieri, i moralisti che descrivono la vita quotidiana nei castelli, nelle case borghesi e nelle taverne; i predicatori che, dal pulpito, fulminano contro i vizi, parlano di differenti giochi ma il tarocco non è mai citato.
In realtà esistono alcuni racconti della prima metà del sec. XIV dove si parla di giochi di carte, ma si tratta sempre di interpolazioni posteriori, sostituzioni avvenute nei secoli successivi, quando queste opere vennero riprodotte a stampa. Tralasciando i testi di incerta credibilità citeremo soltanto i documenti che non lasciano dubbi circa la loro autenticità (Van Rijnberk 1947, pp. 41-42):

1371 Italia. In un documento relativo ai diritti e doveri dell' Abbazia di Montecassino è citato un «Iudus cartarum».

1375 Italia. Un decreto emesso dai Priori di Firenze invita a combattere un «Iudus qui vocatur naibbe>" di recente introdotto a Firenze.
1376 Italia. Nel Libro di Provvigioni Fiorentine viene dichiarata applicabile al nuovo gioco dei naibi la legge della zecca, ossia le imposizioni fiscali.
1377 Svizzera. Il frate domenicano Johannes de Rheinfelden nel suo Tractatus de mori- bus et discipline humanae conversationis riferisce l'introduzione a Basilea di un «Iudus cartarum». In questo gioco è descritto lo stato del mondo, e può essere comparato col gioco degli scacchi perché in entrambi ci sono re, regine, nobili e popolani. Così l'uno e l'altro gioco possono essere trattati in senso morale.
1377 Francia. Il Prefetto di Parigi proibisce di giocare a carte nei giorni lavorativi. Il medesimo divieto viene espresso nel 1380 a Lille.
1378 Germania. A Regensburg viene vietato il gioco delle carte. Lo stesso accade nel 1381 a Nuremberg, nel 1391 ad Augsburg e nel 1397 a Ulm.
1379 Olanda: Renier Hollandier, tesoriere del Duca di Brabante, nota l'acquisto di un gioco di carte. Da questa data fino al 1383 sono menzionati gli acquisti di altri venti giochi di carte di prezzo diverso.
1380 Spagna. Un atto notarile degli Archivi della Città di Barcellona cita un «Iudus de naips,> tra i beni di un negoziante. Due anni più tardi, lo stesso gioco è indicato in diversi decreti municipali.
1381 Francia. In un atto notarile registrato a Marsiglia, un viaggiatore promette al suo compagno di viaggio di non giocare a «nahipi>,.
1388 Svizzera. A Costanza viene emesso un divieto contro i giochi di carte. Idem a Zurigo nel 1389.
1392 Francia. Nel registro dei conti di Claude Poupart, tesoriere di Carlo VI, è citato il pagamento a Jacquemin Gringonneur di 56 soldi parigini per l'acquisto di tre mazzi di carte a oro e vari colori, per vincere la melanconia del Re.
1393 Italia. Il cronista fiorentino Giovanni Morelli parla dei naibi come di un gioco adatto ai fanciulli.
1396 Francia. Il cassiere della Regina nota un pagamento a Guiot Groslet per lo studio di un nuovo gioco di carte.
Questa è pagina 9 di "Tarocchi Arte e Magia" edizioni Le Tarot.
clicca anche qui

Con questa carrellata documentale voglio portare l'attenzione sullo scompiglio creato dalla comparsa delle carte in occidente e far riflettere sul fatto che un gioco così semplice e immediato, in qualsiasi epoca fosse comparso avrebbe creato altrettanto scompiglio. Per tanto è difficile pensare che le carte da gioco circolassero molto prima delle date documentate senza che nessuno le notasse.

Come gioco d’intelletto o di intrattenimento era sicuramente più pratico degli scacchi, si poteva giocare con un maggior numero di persone ed era nettamente più comodo da trasportare. Le carte divennero in poco tempo il gioco di tutti, talmente popolare che iniziarono a sostituirsi anche ai dadi nel gioco d’azzardo.
Gertrude Moakley sostiene che probabilmente il numero dei 21 + 1 Trionfi, possa essere determinato dalla comparazione con i dadi. Di fatti la somma dei numeri di un dado è 21 (1+2+3+4+5+6=21) questo potrebbe anche spiegare perché il matto non sia numerato oppure il numero identificativo attribuito sia lo 0; ancora oggi nelle carte da gioco a seme francese “il matto” è una carta non numerata e funge da giolly.
Vedi qui versione inglese
Versione tradotta
Per una trattazione più completa sul Jolly vedi qui
Questo è molto più plausibile della teoria di Eliphas Levi che vorrebbe il 22 come numero cabalistico vedi qui.

Mettere in ordine le idee

Per continuare questa discussione dobbiamo stare attenti a non cadere sulla "buccia di banana" che ha già fatto scivolare più di uno studioso. Questa buccia si chiama “carte”, se noi iniziamo ad usare il termine per “tutte le carte” perderemo il senso di ciò che è accaduto.
Per fare un parallelo uso questo esempio: provate ad immaginare che fra 600 anni discutendo sull'invenzione del motore, ed avendo perso ogni documentazione a riguardo, si iniziasse a non specificare motore a scoppio piuttosto che elettrico, a benzina piuttosto che diesel ecc... e si mescolasse tutto in un gran calderone per arrivare alla conclusione che un'invenzione così incredibile non può che arrivare dall'antica saggezza egizia, di fatti in un geroglifico si vede un egizio che sembra imprigionare del vapore. Esempio sicuramente stupido ma più o meno è quello che è successo alla storia delle carte.

Per la storia è necessario specificare quali carte? Dove e come comparvero? Per l'occidente ci sono delle prime carte, che sul finire del XIV secolo entrano in questo territorio ed in questa cultura da più parti, Spagna Italia e probabilmente altrove, introdotte dai saraceni. Poi, come avviene per le culture che mescolandosi iniziano a contaminarsi e trasformarsi, così è stato anche per le carte. Diventando il gioco di tutti, poveri e ricchi, spagnoli, italiani francesi tedeschi ecc… iniziarono a mutare prendendo le connotazioni dell’ambiente in cui sedimentavano. Da prima comparvero variazioni nei semi delle carte, le spade, denari, coppe e bastoni divennero anatre, falconi, cani, cervi. Poi si iniziò ad aggiungere alle carte numerali delle figure di corte, dame o damigelle cavalieri fanti re e regine ecc… All’inizio del 1400 le carte erano diventate di gran moda e si commissionavano sempre nuovi mazzi. È in questo periodo che abbiamo la prima notizia documentata della commissione di un mazzo particolare: Filippo Maria Visconti commissionò lo studio di un mazzo mitologico, il mazzo degli dei, al suo anziano precettore e consigliere Marziano de’ Rampini da S. Aloisio, detto Marziano da Tortona. Alle 36 o 40 carte numerali invece delle 16 carte di corte si aggiunsero 16 carte così suddivise:

Aquile
Virtù: Giove, Apollo, Mercurio, Ercole

Falconi
Ricchezza: Giunone, Nettuno, Marte, Eolo

Cani
Castità: Diana: Vesta, Pallade, Dafne

Colombe
Piacere: Venere, Bacco, Cerere, Cupido.

Per quello che fino ad oggi si sa, questo potrebbe essere il prototipo dei successivi mazzi denominati “Trionfi” cioè le 22 carte con disegni molto suggestivi nettamente diversi dalle altre.
Attualmente nei Tarocchi, mazzo composto da 78 carte, divise in due mazzi distinti come “Arcani Maggiori” per le 22 carte particolari e “Arcani Minori” per le 56 che si usano anche come carte da gioco.

Gli Arcani Maggiori, oggi, sono perlopiù usati nella divinazione o in qualche rituale esoterico, la conoscenza ludica di queste carte è rimasta esclusiva di qualche paesino italiano. Anche anticamente non si sa di preciso se con queste carte si giocava come con le altre.
Di fatti la forgia raffinata e spesso le dimensioni non sembrano adatte al gioco.
Sappiamo che le carte "degli dei" di Filippo Maria Visconti (il probabile prototipo) furono commissionate come carte pedagogiche. Non era solo un gioco d’azzardo, ma anche di erudizione e sul tavolo si scontravano gli eroi della Virtù contro quelli della Ricchezza e quelli della Castità contro quelli del Piacere, Virtù e Castità alleate contro Ricchezza e Piacere. Marziano scrisse anche un libro di accompagnamento, il primo manuale d’istruzione per un gioco, dove non si sofferma tanto sulle regole, quanto sulle allegorie delle divinità da tener presenti nel gioco. Non tutti i giocatori erano così ferrati in cultura classica come il suo pupillo e quindi qualche istruzione supplementare non guastava. E poi, non era l’educazione il fine ultimo dei giochi? (storia di Milano).
Ma di queste carte ci rimane solo il libretto di istruzioni e non sappiamo come erano le originali, mentre ci sono pervenute le successive committenze sforzesche e decisamente essendo carte grandi e pregiatissime, punzonate in oro e argento, non sembrano assolutamente adatte al gioco.

Fine seconda parte